Distanze minime tra edifici: necessario un valido strumento urbanistico locale

Non automatica l’applicazione delle disposizioni fissate dal decreto ministeriale 1444 del 1968

Distanze minime tra edifici: necessario un valido strumento urbanistico locale

Le disposizioni in materia di distanze minime tra edifici, disposizioni fissate dal decreto ministeriale 1444 del 1968, non sono immediatamente operanti nei rapporti tra privati, ma presuppongono l’esistenza di un valido strumento urbanistico locale che contenga l’individuazione delle zone territoriali omogenee. Di conseguenza, l’annullamento con efficacia ex tunc dello strumento di pianificazione urbanistica, da parte del giudice amministrativo, comporta la sua decadenza retroattiva, con conseguente inapplicabilità della normativa sulle distanze prevista dal decreto ministeriale, mancando il presupposto logico-giuridico della sua operatività.
Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza numero 13936 del 26 maggio 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo alla distanza tra due immobili confinanti posti nel territorio di Pescara.
Analizzando lo specifico caso, si è appurato che l’edificio incriminato è stato ultimato nel novembre del 1983, ma, allo stesso tempo, è emerso che il Comune di Pescara, per effetto delle vicissitudini giudiziarie riguardanti le diverse pianificazioni urbanistiche intervenute nel corso degli anni, si è dotato di una regolamentazione locale soltanto nel 1993, e dunque in epoca successiva a quella in cui il manufatto è stato ultimato (novembre 1983). I precedenti strumenti urbanistici approvati nel 1944 (piano di ricostruzione), nel 1957 e nel 1979 sono stati infatti, rispettivamente, i primi due dichiarati inefficaci, ed il terzo annullato dalle competenti autorità giudiziarie. La definizione delle zone omogenee contenuta nel piano regolatore del 1979, in particolare, è venuta meno, con effetto ex tunc, giusta il suo annullamento da parte del T.A.R. Abruzzo, confermato poi dal Consiglio di Stato.
E in assenza di normativa locale contenente la cosiddetta ‘zonizzazione’, la disposizione del 1968 non può essere ritenuta automaticamente applicabile nei rapporti tra privati, poiché essa presuppone la suddivisione del territorio in zone, che costituisce il presupposto, sotto il profilo logico-giuridico, per il funzionamento del sistema normativo introdotto nel 1968, sistema che prevede distanze minime variabili a seconda della zona in cui si collocano gli edifici.
I magistrati richiamano poi il principio secondo cui la disciplina temporalmente applicabile in materia di distanze legali dev’essere individuata in quella vigente al momento della realizzazione dell’opera, e non del rilascio del titolo edilizio, salvo il limite, nel caso di norme più restrittive, dei cosiddetti ‘diritti quesiti’ per le costruzioni già sorte e di eventuali norme sopravvenute più favorevoli, comunque applicabili anche a costruzioni anteriori, sempre che non si sia già formato il giudicato sulla loro legittimità.
Con specifico riferimento, poi, all’inidoneità del piano regolatore generale, annullato in sede giurisdizionale, a disciplinare i rapporti in materia di distanze, in tema di distanze fra le costruzioni, le prescrizioni del piano regolatore, atto complesso risultante dal concorso della volontà del Comune e della Regione, acquistano efficacia di norme giuridiche integrative del Codice Civile solo con l’approvazione del piano medesimo da parte dell’autorità regionale, onde, qualora anche uno solo dei due atti che costituiscono l’atto complesso sia annullato, in via definitiva, a seguito di ricorso giurisdizionale, il piano regolatore decade con effetto retroattivo e non ha alcuna idoneità a regolare i rapporti in materia di distanze legali, fino a quando non intervenga una sua nuova approvazione e salva l’applicazione delle misure di salvaguardia.
Pertanto, in ragione dell’effetto demolitorio conseguente alla sentenza di annullamento del T.A.R. Abruzzo, confermata dal Consiglio di Stato, il piano urbanistico del 1979 va ritenuto decaduto ex tunc, con la conseguenza che la disposizione del 1968 non può trovare diretta applicazione nei rapporti tra privati, mancando il presupposto logico-giuridico della sua operatività, ovvero la sussistenza di un valido strumento di pianificazione recante l’individuazione delle zone territoriali omogenee, Va rilevato, sul punto, poi che il meccanismo di inserzione automatica delle disposizioni del 1968 nello strumento urbanistico, qualora quest’ultimo preveda distanze inferiori a quelle previste dalla normativa ministeriale, ovvero non preveda distanza alcuna, presuppone pur sempre che il predetto strumento urbanistico esista e sia valido, poiché in difetto non può operarsi alcuna sua integrazione, e rimane fermo il principio secondo cui il decreto ministeriale 1444 del 1968, che prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, impone determinati limiti edilizi ai Comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici ma non è immediatamente operante anche nei rapporti fra i privati.

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