Abbonamento per lo stadio: il tifoso deve accettare la scarsa convenienza
Respinte le lamentele avanzate da un supporter del Napoli. Chi ha fatto un cattivo affare non può pretendere di sciogliersi dal contratto invocando lo squilibrio delle prestazioni

Se il contratto è poco conveniente per una delle parti, non è automatico catalogarlo come diretto a realizzare interessi non meritevoli di tutela.
Questo il principio fissato dai giudici (ordinanza numero 7239 del 18 marzo 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso relativo ad un contratto di abbonamento valevole per assistere alle partite casalinghe di una squadra di calcio – il Napoli, per la precisione – della ‘Serie A’ italiana.
A fronte delle lamentele avanzate da un tifoso partenopeo, il quale ha sostenuto l’inesatto adempimento del contratto di abbonamento valevole per assistere alle partite casalinghe della squadra partenopea della stagione 2016/2017 nella tribuna ‘Posillipo’ e ha posto in evidenza la differenza in eccesso tra il corrispettivo da lui versato per l’acquisto dell’abbonamento (1.510 euro) e la somma del costo dei singoli biglietti per le diciannove partite casalinghe, somma finita per ammontare a 975 euro, all’esito del ribasso deciso dalla società rispetto agli importi pubblicizzati prima dell’inizio della stagione, i giudici hanno ribattuto che va garantito il contraente il cui consenso sia stato stornato o prevaricato, ma non quello che, libero e informato, abbia compiuto scelte contrattuali non pienamente satisfattive dei propri interessi economici. Peraltro, l’intervento del giudice sul contratto non può che essere limitato a casi eccezionali, pena la violazione del fondamentale principio di libertà negoziale, non potendo intaccare la libertà negoziale delle parti dall’angolo visuale della convenienza economica dell’affare.
Ampliando l’orizzonte, poi, i giudici precisano che, affinché un patto atipico possa dirsi diretto a realizzare interessi immeritevoli, è necessario accertare la contrarietà (non del patto, ma) del risultato cui esso mira con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati.
Vi è, in sostanza, l’impossibilità di far coincidere lo squilibrio delle prestazioni con la convenienza del contratto: chi ha fatto un cattivo affare, quindi, non può pretendere di sciogliersi dal contratto invocando lo squilibrio delle prestazioni.