Come smentire la presunzione di condominialità
Necessario fare riferimento ad un titolo contrario risultante dal primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dall’originario unico proprietario

La presunzione legale di condominialità stabilita, Codice Civile alla mano, per i beni aventi attitudine oggettiva al godimento comune può essere superata soltanto mediante la prova di un titolo contrario risultante dal primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dall’originario unico proprietario, e da cui emergano elementi inequivocabili di esclusione della comunione del bene, non essendo rilevanti i successivi atti di acquisto né le risultanze del regolamento condominiale o delle tabelle millesimali.
Questi i paletti fissati dai giudici (ordinanza numero 30630 del 28 novembre 2024 della Cassazione), chiamati a prendere in esame la disputa relativa alla proprietà di una striscia di terreno posta sul lato est di un fabbricato.
In premessa, viene ribadito che per affermare la condominialità di un bene occorre gradatamente verificare dapprima che la res, per le sue caratteristiche strutturali, risulti destinata oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari e poi che sussista un titolo contrario alla presunzione di condominialità, facendo riferimento esclusivo al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto.
Non a caso, il Codice Civile, nel contemplare un elenco, non tassativo, di beni caratterizzati dalla loro attitudine oggettiva al godimento comune e dalla concreta destinazione dei medesimi al servizio comune, opera ogniqualvolta, nel silenzio del titolo, il bene, per le sue caratteristiche, sia suscettibile di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi, in quanto detta una presunzione di comune appartenenza a tutti i condòmini, presunzione che non può essere vinta con qualsiasi prova contraria, ma soltanto alla stregua delle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali.
Così, la situazione di condominio si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, la cui trascrizione, comprensiva pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, anche delle parti comuni, ne consente l’opponibilità ai terzi dalla data dell’eseguita formalità.
In presenza di tale presunzione legale, il condominio è, dunque, dispensato dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica, spettando invece al condòmino che rivendichi la proprietà esclusiva di uno dei beni dati per condominiali fornire la prova delle sue asserzioni, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si era riservato l’esclusiva titolarità del bene. Ciò comporta che è al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dall’originario unico proprietario e al conseguente frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali che occorre far riferimento al fine di verificare la possibilità di superare la previsione di condominialità, con la conseguenza che non può considerarsi dirimente, a tali fini, il contenuto del contratto di compravendita di colui che abbia acquistato in epoca successiva al primo atto di acquisto dall’originario unico proprietario, a meno che questi non si sia riservato la proprietà di alcune porzioni immobiliari che sarebbero altrimenti cadute nella presunzione di condominialità.
Con riguardo, poi, al regolamento condominiale cosiddetto contrattuale, contestuale alla nascita del condominio e accettato col consenso individuale dei singoli condòmini, esso può contenere, oltre alle norme relative all’amministrazione e alla gestione delle parti comuni, anche l’indicazione stessa delle parti comuni e perfino la previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva, dando luogo ad un vincolo di natura pertinenziale, siccome posto in essere dall’originario unico proprietario dell’edificio, legittimato all’instaurazione e al successivo trasferimento del rapporto. Tuttavia, proprio perché l’esclusione, dal novero delle parti condominiali, di alcune porzioni dell’edificio che altrimenti vi ricadrebbero alla stregua della presunzione di condominialità, incide sulla costituzione o modificazione di un diritto reale immobiliare (con la conseguenza che l’esclusione stessa deve risultare ad substantiam da atto scritto), è necessario, per aversi titolo contrario, che dal negozio, così come dal regolamento ccosiddetto contrattuale, emergano elementi tali da essere in contrasto con l’esercizio del diritto di condominio.
Tornando alla specifica vicenda, la porzione immobiliare contesa è data, nella specie, da un’area scoperta costituente prosecuzione del suolo su cui insiste l’edificio, che si trova in corrispondenza col portico ed i locali terranei di proprietà di un condòmino, utilizzati per lo svolgimento di attività commerciale, ed è astrattamente utilizzabile per raggiungere l’area condominiale, nei tratti nord e ovest, senza transitare sulla pubblica via, sì da poter essere inclusa nella presunzione di condominialità. E il fatto che alcuni condòmini abbiano occupato lo spazio conteso non è idoneo ad attribuire ad esso la natura di pertinenza, sorgendo tale vincolo non già sulla base del rapporto di strumentalità funzionale esistente tra due beni, ma su un valido atto di destinazione del soggetto legittimato quale titolare del diritto di proprietà o altro diritto reale di godimento.