Avviso ai genitori: la maggiore età dei figli non basta ad escludere il loro diritto al mantenimento

Necessario, invece, che il figlio consegua l’autonomia economica o che non l’abbia conseguita tenendo una condotta non diligente

Avviso ai genitori: la maggiore età dei figli non basta ad escludere il loro diritto al mantenimento

Il dovere dei genitori di mantenere i figli, stabilito da Codice Civile e correlato alla responsabilità genitoriale, non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma termina solo quando il figlio consegue l’autonomia economica o avrebbe dovuto conseguirla secondo parametri di diligente condotta.
Questo il paletto fissato dai giudici (ordinanza numero 12121 dell’8 maggio 2025 della Cassazione), i quali aggiungono, poi, che è legittimo il riferimento a semplificazioni probatorie e presunzioni legate all’età: così, per il figlio neomaggiorenne, o prossimo alla maggiore età, la presunzione opera a favore del diritto al mantenimento; per il figlio adulto, lontano dalla minore età, invece, la presunzione opera contro il persistere di tale diritto.
Sul tavolo dei magistrati è arrivato l’ennesimo caso di assegno di mantenimento revocato ad una figlia divenuta maggiorenne e ritenuta anche ‘colpevole’ di non avere fornito alcuna prova di aver completato gli studi – del tutto abbandonati, invece – e di non avere neppure ipotizzato eventuali ragioni che le abbiano impedito di svolgere attività lavorativa.
Per meglio inquadrare la questione, comunque, i magistrati ricordano che, pur se l’obbligo di mantenimento non cessa ipso facto con il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli può essere accertato, tuttavia, il venir meno del diritto al mantenimento qualora il figlio, abusando di quel diritto, tenga un comportamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato di occasioni di lavoro (ovvero di colpevole negligenza nel compimento del corso di studi intrapreso) e, quindi, di disinteresse nella ricerca dell’indipendenza economica. Se ne può desumere, quindi, che il ruolo di supporto dei genitori, pur diversamente modulandosi al conseguimento della maggiore età, termina solo nel momento in cui il figlio si inserisce (o avrebbe dovuto farlo, secondo i paramenti di una diligente condotta) in modo indipendente ed autonomo nella società e comunque non può protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe in forme di parassitismo, in spregio al dovere di solidarietà di cui è richiesto l’adempimento a tutti i consociati, a maggior ragione all’interno della formazione sociale famiglia.
Per quanto concerne, poi, l’onere probatorio a carico del genitore che vuole liberarsi dal fardello del sostegno economico al figlio, in materia di mantenimento del figlio maggiorenne e non autosufficiente i presupposti su cui si fonda l’esclusione del relativo diritto sono integrati: dall’età del figlio; dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro. E, ancora, se il figlio è neomaggiorenne e prosegue nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento, mentre, viceversa, per il figlio adulto, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, è particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne che possono giustificare il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa.
Applicando questa prospettiva alla vicenda in esame, pare vacillare la decisione emessa in Appello, poiché si è dato risalto alla età della giovane (20 anni) al momento del secondo grado, senza considerare però che il giudizio era iniziato quando ella era minorenne e si è concluso in primo grado quando ella aveva ancora soltanto 19 anni – e quindi la presunzione legata all’età operava in suo favore- e non tenendo conto che in siffatti casi il giudice deve accertare in quale momento si estingue il diritto e non semplicemente prendere atto che al momento in cui si conclude il giudizio è stata raggiunta l’età della (presunta) indipendenza economica. Su tale punto, difatti, i giudici d’Appello si sono limitati ad affermare che la ragazza è ormai autonoma, senza chiarire se l’autonomia dovesse intendersi conseguita al compimento dei 20 anni di età, ovvero alla data della decisione di secondo grado, oppure in altro momento temporale. Inoltre, ci si è limitati a rilevare che la giovane non proseguiva gli studi, senza valutare interamente la sua condizione e cioè la sua capacità lavorativa in relazione alla sua formazione professionale e alle possibilità concrete date del mercato del lavoro locale in generale e per la occupazione femminile in particolare.

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