Vizi dell’appalto: riconoscerli non significa impegno a rimuoverli
Anche in presenza di un riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera da parte dell’appaltatore non può farsi discendere automaticamente dal riconoscimento medesimo l’assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di emendare l’opera

In materia di appalto va tenuto distinto il profilo del riconoscimento dei vizi dal ben diverso profilo dell’assunzione dell’impegno a rimuoverli e della conseguente assunzione di una obbligazione diversa ed autonoma rispetto a quella originaria, svincolata dal termine decadenziale e soggetta al solo termine prescrizionale ordinario. Nel caso preso in esame dai giudici due persone hanno citato in giudizio una società, chiedendone l’accertamento della responsabilità, con conseguente condanna al risarcimento, per i danni riportati in relazione ai vizi e ai difetti riscontrati nei lavori di ristrutturazione – e, nello specifico, nei lavori di realizzazione dei sottofondi e di posa della pavimentazione – effettuati negli appartamenti di loro proprietà. La società si è opposta, invocando la prescrizione dell’azione proposta dai proprietari degli appartamenti oggetto dei lavori di ristrutturazione. I giudici sottolineano che l’istruttoria ha confermato lo svolgimento di sopralluoghi congiunti di committenti, appaltatore e subappaltatore, senza tuttavia confermare in alcun modo – al di là del profilo del riconoscimento dei vizi – la circostanza dell’assunzione, da parte delle imprese coinvolte, dell’impegno ad eliminare le problematiche medesime. E va perciò ribadito che anche in presenza di un riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera da parte dell’appaltatore, non può farsi discendere automaticamente dal riconoscimento medesimo l’assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di emendare l’opera, in assenza della prova di un impegno in tal senso, con la conseguenza che il predetto riconoscimento non impedisce il decorso dei termini brevi della prescrizione previsti in tema di appalto. (Ordinanza 19343 del 16 giugno 2022 della Corte di Cassazione)