Variazioni non approvate dall’ente pubblico: niente compenso ulteriore per la società
I giudici precisano però che a determinate condizioni i lavori addizionali effettuati extra contratto dall'appaltatore e non previamente autorizzati possono, eccezionalmente, dar luogo a compenso

Niente compenso alla società esecutrice dell’appalto pubblico se le variazioni rispetto al progetto originario non sono state approvate dalla pubblica amministrazione. I giudici ribadiscono che, in tema di appalto di opere pubbliche, i lavori addizionali effettuati extra contratto dall'appaltatore e non previamente autorizzati - e per i quali non ha, di regola, diritto ad aumento di prezzo alcuno - possono, eccezionalmente, dar luogo a compenso. Ciò però alla quadruplice condizione che tali lavori formino oggetto di tempestiva riserva, siano qualificati come indispensabili in sede di collaudo, siano riconosciuti come tali anche dall'amministrazione committente e comportino un costo che, addizionato a quello dei lavori commissionati in contratto, rientri, comunque, entro i limiti delle spese approvate. A completare il quadro, infine, anche il richiamo al principio, in materia di appalto di opere pubbliche, secondo cui l'appaltatore che abbia eseguito varianti in corso d'opera non previste dal contratto non ha diritto, per ovvie necessità di protezione del pubblico interesse, ad alcun compenso o indennizzo di sorta, neppure a titolo di indebito arricchimento dell'ente committente, dovendo altresì ritenersi che il direttore dei lavori, che ne abbia disposto l'esecuzione, abbia agito al di fuori di suoi poteri, e, perciò, quale falsus procurator dell'ente. (Ordinanza 2819 del 31 gennaio 2023 della Corte di Cassazione)