Niente risarcimento per la persistenza nel sito web giornalistico di una notizia ormai datata e non aggiornata

Tuttavia, il soggetto cui la notizia si riferisce ha diritto ad attivarsi per chiederne l'aggiornamento o la rimozione, con la conseguenza che l'ingiustificato rifiuto o ritardo da parte del titolare del sito è idoneo a comportare il risarcimento del danno patito successivamente alla richiesta

Niente risarcimento per la persistenza nel sito web giornalistico di una notizia ormai datata e non aggiornata

La persistenza, nel sito web di una testata giornalistica, della risalente notizia del coinvolgimento di un soggetto in un procedimento penale - pubblicata nell'esercizio legittimo del diritto di cronaca, ma non aggiornata con i dati relativi all'esito di tale procedimento - non integra, di per sé, un illecito idoneo a generare una pretesa risarcitoria. Tuttavia, il soggetto cui la notizia si riferisce ha diritto ad attivarsi per chiederne l'aggiornamento o la rimozione, con la conseguenza che l'ingiustificato rifiuto o ritardo da parte del titolare del sito è idoneo a comportare il risarcimento del danno patito successivamente alla richiesta, fermo l'onere di allegazione e prova del pregiudizio subito. Questi i principi fissati dai giudici, chiamati a prendere in esame l’istanza con cui un uomo aveva inutilmente chiesto la cancellazione dal sito web di un quotidiano di un articolo avente ad oggetto un procedimento penale avviato nei suoi confronti, oppure la rettifica mediante integrazione con la notizia che egli era stato successivamente assolto per non aver commesso il fatto. I giudici hanno fatto chiarezza, in sostanza, sul dubbio sollevato dalla persona oggetto del procedimento penale e dell’articolo, cioè se il giornale debba rispondere per la permanenza della notizia relativa al procedimento penale che, seppure di per sé non diffamatoria (in quanto costituente, all'epoca della pubblicazione, legittimo esercizio del diritto di cronaca), non era stata aggiornata con il dato delle successive assoluzioni ed era quindi obiettivamente idonea ad incidere in modo negativo sulla reputazione della persona. (Sentenza 6116 dell’1 marzo 2023 della Corte di Cassazione)

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