Morte post malattia contratta con una trasfusione: il danno va stabilito considerando la possibilità di sopravvivere senza l’infezione

Respinta la tesi proposta dal Ministero della Salute, secondo cui il danno alla salute patito dalla vittima, e che dà a quest’ultima diritto al risarcimento del danno, va commisurato non già a quanto sarebbe potuta vivere la persona danneggiata, ma a quanto è effettivamente vissuta, ossia alla durata effettiva della sua vita

Morte post malattia contratta con una trasfusione: il danno va stabilito considerando la possibilità di sopravvivere senza l’infezione

Se la morte di una persona è dovuta proprio alla malattia contratta con la trasfusione con sangue infetto, allora, il calcolo del danno, proprio perché è il fatto illecito che ha portato alla morte, va fatto sulle probabilità che la persona deceduta aveva di sopravvivere se il fatto illecito non la avesse colpita. Questi i paletti fissati dai giudici, chiamati a prendere in esame la triste vicenda di una donna che ha contratto il virus dell’‘epatite C’ a seguito di una trasfusione avvenuta nel lontano 1969 e che poi, a causa dell’infezione, ha subito numerosi ricoveri, fino a quando, nel 2009, la ‘Commissione medica ospedaliera’ ha riconosciuto che la malattia era stata causata dall’infezione. In quello stesso anno, però, la donna è deceduta e i suoi familiari hanno agito in giudizio nei confronti del Ministero della Salute per vedere riconosciuto il danno subito a causa della malattia della loro parente. Respinta la tesi proposta dal Ministero della Salute, tesi secondo cui il danno alla salute patito dalla vittima, e che dà a quest’ultima diritto al risarcimento del danno, e in cui quindi possono subentrare gli eredi, va commisurato non già a quanto sarebbe potuta vivere la persona danneggiata, ma a quanto è effettivamente vissuta, ossia alla durata effettiva della sua vita. (Ordinanza 10902 del 26 aprile 2023 della Corte di Cassazione)  

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