Basta il contratto per legittimare la risoluzione a seguito del mancato pagamento del canone da parte del conduttore

I giudici escludono che il pagamento delle morosità possa costituire sanatoria della vicenda giuridica relativa alla domanda di risoluzione contrattuale

Basta il contratto per legittimare la risoluzione a seguito del mancato pagamento del canone da parte del conduttore

Indiscutibile la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore se è messo sul tavolo il documento, regolarmente registrato, da cui risulta l’obbligazione del conduttore di corrispondere il canone. Ciò basta per ritenere provato il fatto alla base pretesa azionata dal proprietario dell’immobile. Così i giudici si pronunciano sul caso loro sottoposto, richiamando il principio secondo cui in tema di locazioni di immobili urbani, adibiti ad uso abitativo, nel caso in cui il conduttore, senza effettuare alcuna contestazione sul quantum, abbia omesso di pagare una o più mensilità del canone locativo, la valutazione della gravità e dell’importanza dell’inadempimento non è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice, ma è predeterminata legalmente. In particolare, in materia di locazioni ad uso abitativo, la norma, rubricata come inadempimento del conduttore, dispiega la propria efficacia nell’ambito dei rimedi contro le patologie funzionali del contratto. Essa ha per oggetto la disciplina della risoluzione del contratto di locazione per inadempimento da parte del conduttore dell’obbligazione di pagamento del canone o di quella di corresponsione al locatore dei cosiddetti oneri accessori. I giudici aggiungono poi che la norma consente al conduttore di adempiere tardivamente, senza il rischio di incorrere nella risoluzione del contratto, ed è ispirata alla ratio del favor nei confronti del conduttore, favor giustificato dall’interesse primario di mantenere l’abitazione. Allo stesso tempo, però, la norma, configurando una presunzione assoluta di gravità dell’inadempimento, tende a sottrarre alla discrezionalità del giudice l’apprezzamento della non scarsa importanza dell’inadempimento, ancorando tale valutazione a due presupposti oggettivi: uno di tipo quantitativo, consistente nel mancato pagamento di una rata del canone o di oneri accessori per un importo superiore a due mensilità di canone, ed uno di ordine temporale, dato dal protrarsi dell’inadempimento per oltre venti giorni dalla scadenza del termine convenuto o di due mesi in caso di oneri accessori. Al di fuori di queste circostanze, non può argomentarsi che il pagamento delle morosità intimate dopo l’introduzione del contraddittorio possa costituire sanatoria, oltre che della morosità intimata, anche della vicenda giuridica relativa alla pretesa di inadempimento, operando in questo caso il principio generale secondo cui si esclude che il debitore possa adempiere la propria obbligazione successivamente all’introduzione della domanda di risoluzione contrattuale. (Sentenza del 6 ottobre 2022 del Tribunale di Roma)

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